Sessanta inverni come fosche nubi
stratocumuli opachi, nembostrati
più cupi del grigiore del futuro
vapori che sprigionano dai tubi
di valvole schiantate, ciminiere
che sbuffano fra sibili, meati
che si aprono ad un tratto nell’oscuro —
come lampi di cesio nelle sere —
scavando nel profondo dell’inconscio:
dal suo ventre trafitto un’autopsia
cruda e sanguigna impone i suoi cilici
al tempo che mi resta e sono conscio
(o è solo un’impressione?) non ci sia
più il tempo ormai di essere felici.
Testo di Gianluca Braschi (gb@cesena.cc)
Voce di Lorenzo Pieri (pierilorenz@gmail.com)